Loading…

Viaggio nello stile “deconstructed”

Verso la fine del 2017 Virgil Abloh, designer a capo del marchio di streetwear di lusso Off-White e direttore artistico di Louis Vuitton uomo, lancia assieme a Nike la collezione “The Ten”, una linea che reinterpreta alcune delle più fortunate silhouette della casa di Beaverton secondo un inedito approccio decostruzionista. 
Il guru della moda chicagoano, prima di diventare una celebrità del settore, si laurea in ingegneria civile e poi guadagna un master in architettura. Durante gli studi di architettura conosce Kanye West e iniziare a collaborare con lui, coinvolto nell’agenzia creativa fondata dal rapper. Senza addentrarci troppo oltre nella bio del Nostro, vi basterà sapere che da lì in poi è stata una scalata inarrestabile verso il successo commerciale. 

Virgil Abloh

Se avete seguito dall’inizio TheKicksAge, avrete letto del fatto che oggi il mondo delle sneakers si divide in due visioni, due approcci, fondamentalmente due categorie di oggetti: l’edizione limitata e la sneaker da strada, quella vissuta, quella che entra veramente a far parte delle nostre vite. 
Di “streetwear” la visione di Abloh, che pure si imbeve indubbiamente di street-culture, di cultura dello skateboarding e quant’altro, ha davvero poco, o comunque lo perde per strada durante lo svolgimento della narrativa che la descrive. 
Semplicemente, una collezione come “The Ten” è, un po’ come accade in parte per una miriade di collabo, edizioni limitati e Yeezy varie, è più legata a quell’immaginario da “finto poveri” tra il casual e l’haute couture che ad una moda veramente urban. Il pubblico di riferimento è un pubblico medio-alto. Che l’audience stessa abbia alimentato l’hype fino a trasformare questi oggetti in articoli quasi di lusso è vero solo in parte. Come nel caso delle adidas Yeezy, le case, i designer e insomma i testimonial sono consapevoli della potenza dell’aura di questi output. L’oggetto non è più solo tale, ma è l’operazione complessiva che ne stabilisce il valore (quindi anche economico). 
Per quanto sia esclusiva e surreale una Jordan 1 “sfigurata” dalla mano eversiva di Abloh, quel tentativo di decostruzione (o “ricostruzione”, come spiegato nel dossier “10”), l’aura OG della scarpa di partenza sarà comunque, da un certo punto di vista, sempre più potente e più “autentica”. Oltre il magico delirio di una scarpa non-finita, si cela quella che sembra più che altro una sorta di bizzarra contraffazione: un tentativo di disinnescare le dinamiche di un oggetto per farne esplodere altre, ma che poi è un gioco che mostra facilmente la corda, a volte auto-indulgente, a volte più riuscito, come nelle fantastiche Blazer Mid nelle versioni “All Hallow’s Eve” e “Grim Reaper”, due dei modelli in effetti più belli (contro-)firmati da Abloh.
Ad ogni modo le storpiature di Abloh costituiscono anche una giocosa reazione ad un mercato assolutamente ipersaturo. Non esiste ambito commerciale in cui oggetti sono vendute in così tante versioni, con novità praticamente ogni giorno: è il mondo delle scarpe sportive.

Il tocco di Abloh evidenziabile nella collezione “stravolta” per Nike esalta i dettagli e l’identità della scarpa e al contempo ne indaga la natura nascosta, il concetto di prototipo, nonché il concetto di errore di produzione. Come se il processo produttivo dell’oggetto si fosse bloccato prima di giungere allo stadio finale, rivelando le dinamiche più nascoste dell’oggetto: è una sorta di corto-circuito temporale e concettuale che apre la strada ad una concezione quasi metafisica della scarpa sportiva e della sua semantica, dell’idea di iconicità legata ad essa. Il risultato di questa esplorazione metatestuale è disorientante e insieme rassicurante, pone delle distanze tra il compratore e l’oggetto, poi improvvisamente lo scaglia dentro il processo creativo e produttivo con un bizzarro twist emozionale. Nondimeno, anzi, soprattutto, questa collabo è il riflesso di un’attitudine sfrontatamente ironica, nella sua apparente austerità industriale. L’ideale mano postmoderna di Abloh disassembla a colpi di taglierino la sneaker e le riassembla con una visione che è intima, interna, approcciabile eppure assolutamente elitaria. È un illusorio gioco di scatole cinesi dove l’ingenuità e l’arroganza si incontrano e si fondono indissolubilmente, durante il quale il senso della storia e la consapevolezza di un’eredità sono costantemente sfidati, per converso, dall’effimero: è solo la messinscena di una resa al processo industriale, che in realtà lo distrugge, sovvertendo le regole del mercato e del design.
Funzionalità atletica, streetwear per ricchi e ricontestualizzazione “post-“ diventano una cosa sola. 
Attorno all’operazione nasce dunque un hype incredibile: le scarpe Off-White x Nike diventano oggetti del desiderio ricercatissimi, con prezzi alle stelle nel mercato del reselling. 
Un altro esperimento del genere, ma meno celebre, è stata la Off-White x Mytheresa Capsule, collezione da donna (ovviamente non a buon mercato) comprendente anche alcuni accessori. 

Collezione Off-White x Mytheresa (2018)

Al di là dei discorsi metatestuali insiti nell’operazione Off White/Nike, c’è da dire che l’approccio ha avuto un effetto assolutamente positivo, negli anni successivi, sul mondo del design delle sneakers.  
Nel 2018 fa capolino la rivoluzionaria Nike React Element 87 (dapprima intravista nei blog di sneakers nella versione della collabo con Undercover), che crea assoluto scompiglio tra i fan delle scarpe sportive. Tomaia largamente traslucida, dettagli non-finiti, cuciture a vista come se la scarpa fosse ribaltata dal suo interno o comunque non fosse stata completata, suola e intersuola con intarsi e “pod” laterali, come se la parte inferiore della scarpa volesse impadronirsi anche dell’intersuola, lo Swoosh che affonda da una parte (una tendenza che ritroveremo in molte altre calzature Nike successive), assente dall’altra. Se esiste una nuova icona dei tempi moderni, è proprio la React Element, poi uscita in varie versioni non semi-trasparenti (il modello 55). Da ricordare anche la linea ISPA React, fortemente imparentata con le originali Element.  


Nike React Element 87 (2018)

È una sorta di corto-circuito temporale e concettuale che apre la strada ad una concezione quasi metafisica della scarpa sportiva e della sua semantica, dell’idea di iconicità legata ad essa.

Altri due esempi interessanti nel campo della scarpa postmoderna decostruita è rappresentata dalle collabo del marchio di streetwear Sacai con Nike. I modelli LDWaffle e Blazers sfigurati in questione appaiono praticamente ognuno come due scarpe vintage una mescolata brutalmente con l’altra, con tanto di doppio baffo, intersuola sfalsata, doppia serie di lacci per ogni scarpa, doppia linguetta e quant’altro, per un risultato sconcertante e alquanto radicale, con una sfrontatezza ulteriormente accentuata rispetto ai modelli realizzati in collaborazione con Off-White. Qua più che decostruire, si tratta di un’operazione di smembramento e riassemblamento volutamente scoordinata, dal sapore ancora più inconsueto e imprevedibile.  

Collezione Sacai x Nike (2019)

Al di fuori delle collaborazioni, la Nike ha poi realizzato modelli molto interessanti riguardanti questo filone. Ricordiamo innanzitutto la Air Force 1 Jester, realizzata in più varianti, ma che hanno tutte in comune la presenza di alcune parti della scarpa dislocate in maniera scomposta nella sezione inferiore della stessa, a ridosso dell’intersuola.

Nike Air Force 1 Jester (2018)

Stanno inoltre per essere immesse sul mercato le Air Max 1 Phantom, sneaker bislacche idealmente rivoltate e ricucite all’inverso.

Nike Air Max 1 Phantom (2019)

Da ricordare anche La Nike Air Force 1 Deconstructed, con cuciture invertite, e un popolare retaggio anni Novanta dal taglio aggressivo, cioè le Nike air Max Plus, riedite sempre in versione decostruita, con evidenti cucite “al vivo”.

Nike Air Force 1 Deconstructed (2019) / Nike Air Max Plus Decostruncted (2019)

Di particolare bellezza è poi la linea N. 354, che riprende con una certa classe il piglio grezzo dello stile decostruito, sfigurando le Air Force 1, sfornando un suo modello Huarache e le Drop Type LX, calzatura ibrida che attinge dalle Blazer e della ACG Mowabb e nel complesso ricorda vagamente le Converse Purcell, con un risultato insieme dimesso e raffinato.

Collezione Nike N. 354 (2019)

Altrettanto riuscita è poi la linea Vandalized (Air Force 1, LX), con un approccio destrutturato insieme più netto e deciso ma anche più minimale, con risultati stranamente sempre eleganti. 

Collezione Nike Vandalized (2019)

E le scarpe più prettamente legate ad un’idea di performance moderna?
Non molti saranno d’accordo, ma personalmente la sneaker da basket moderna sta raggiungendo dei livelli di eleganza –  e, nondimeno funzionalità – eccezionali.

Dettaglio della Jordan ProtoMax 720 (2019)

Anche le calzature per questo tipo di sport non sono rimaste immuni dal trend in questione. Ricordiamo alcuni modelli recenti del marchio Jordan: dalle Air Jordan 33 alle Why Not Zer0.2 – in particolare nella versione SE “City Tour”, ad esempio – dalle ProtoMax 720 alle Defy, che in realtà sembrano un mix di calzatura da performance e una da lifestyle. 

Jordan Why Not Zer0.2 SE “City Tour” (2019) / Jordan Apex React (2018) / dettaglio delle Jordan Defy (2019)

Non possiamo poi non citare le eccezionali Nike KD 12 (signature shoe del cestita Kevin Durant) e le recentissime, cugine delle Jordan 33, Nike Kobe AD NXT FastFit.

Nike KD 12 (2019)

Queste sneakers trasudano di fascinazione per un certo tipo di tocco industriale, sneakers per astronauti del cosmo urbano immersi in un futuro lontano eppure tangibile, nonché accessori dalle alte prestazioni per sportivi che cercano un look dall’aura potente ed evocativa. 

Air Jordan 33 (2018) / dettaglio della Nike Kobe AD NXT FastFit (2019)

Abbiamo parlato sin’ora più che altro di Nike. E gli altri marchi? 
Vans ci ha provato con varie rivisitazioni dei suoi classici, appesantendo la linea semplice di alcuni modelli storici con “sporcature” varie. Probabilmente il modello più riuscito è quello meno aggressivamente storpiato rappresentato dalle Vans Old Skool Cap LX.

Vans Ski-8 Deconstructed (2019) / Vans Old Skool Cap LX (2019)

Adidas dal canto suo quest’anno è uscita con una potenziale nuova icona dello street style, la Nite Jogger 2019, resa celebre ultimamente grazie alla sua linea sospesa tra passato e futuro e i suoi inserti riflettenti, uscita in tanti diversi mix cromatici. 
Bella ma un po’ impossibile (per via del costo doppio rispetto ad una normale sneaker commerciale) anche la adidas ZX 4000 4D, sfoggiante la ormai conosciuta suola verde chiaro realizzata con stampa digitale 3D vista per la prima volta nel 2018. 
Questa calzatura mescola con gusto un taglio destrutturato ad alcuni aspetti della famosa famiglia ZX, assieme alla tecnologia di ammortizzazione a dir poco avanguardistica realizzata assieme all’azienda di hardware Carbon. 
Dal punto di vista delle collaborazioni, sicuramente c’è n’è da sottolineare una avvenuta con Alexander Wang, in passato già alle prese con vari modelli adidas. All’inizio del 2018 dunque escono le Wang x adidas Turnout Trainer, scarpa “bulky” dallo stile insieme ironico e stoicamente industriale, a cui, tra le altre cose, sono state apposte le informazioni di riferimento nella tela anteriore. 

Alexander Wang x adidas Turnout Trainer (2018) / adidas Nite Jogger (2019) / dettaglio delle adidas Consortium ZX 4000 4D (2019)

In realtà già nel 2017 era uscita un modello di calzatura poco conosciuto, e cioè la END X Bodega X adidas Consortium Iniki Runner, una versione della famosa Iniki, sporcata da frammenti di denim cuciti disordinatamente e prodotta, per l’appunto, all’interno del programma adidas Consortium con la collaborazione dei due influenti retailer evidenziati all’inizio della denominazione della sneaker.

END X Bodega X adidas Consortium Iniki Runner (2017)

In un certo qual senso, la madre delle calzature decostruite è stata indirettamente la Nike Air Huarache (riedita negli ultimi anni più volte e diventato un classico assoluto dello stile casual contemporaneo), disegnata dal leggendario Tinker Hatfield e uscita per la prima volta nel 1991 col modello base rivolto al running. I modelli rappresentati sin’ora hanno seguito questo ideale percorso mentale: arrivare alla fine del processo produttivo e tornare in qualche modo indietro, al prototipo, svelando la natura più “intima” della calzatura.

Nike Air Huarache (1991)

Il percorso delle Huarache, altrettanto idealmente, simboleggia un approccio “puro” al design industriale. Non cerca una contraffazione, non “vandalizza” la scarpa, ma ne cerca nativamente una versione avanguardisticamente spoglia, cercando di risolvere il problema del peso addossato sul piede, dell’invasività dell’accessorio destinato alla performance sportiva. La sua attitudine svela quindi un candore, una sincerità, una tensione spasmodica verso la funzionalità che ne contraddistinguono l’attitudine fresca e leggera (leggera in tutti i sensi). Le Huarache sono il punto zero della decostruzione. Non decostruiscono in realtà, ma nascono da/si proiettano verso un nuovo inizio, cancellando con garbo ciò che è stato prima.  
Ritorneremo ancora su questa linea della Nike. 

Le Huarache sono il punto zero della decostruzione. Non decostruiscono in realtà, ma nascono da/si proiettano verso un nuovo inizio, cancellando con garbo ciò che è stato prima.