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Ugly sneakers: la saga continua…

François Rabelais è considerato dalla critica, in particolare dopo il saggio del critico letterario russo Michail Bachtin, L’opera di Rabelais e la cultura popolare (trad. it. 1979), come il maggior esponente di quel particolare filone della cultura rinascimentale definito come anti-classicismo o anti-rinascimento, che rifiutando le norme tematiche e linguistiche dei generi ‘alti’ come la lirica amorosa petrarchista o l’epica cavalleresca, sceglie invece come argomento tutto ciò che è ‘basso’, come il corpo e le sue funzioni, il cibo, il vino, il sesso, contraddistinguendosi, sul piano linguistico, per una grande ricchezza e creatività verbale.” (Tratto da Wiki)

Tra le più interessanti calzature rivolte allo streetstyle di qualche stagione fa sicuramente figurano le Ozweego (prodotte anche recentemente in alcune varianti sempre riuscite), in realtà eredi della saga Ozweego iniziata a partire dalla seconda metà degli anni Novanta.

adidas Ozweego 3 / adidas Ozweego 2019

Uscite nell’estate del 2019, sono state capaci di rinnovare e migliorare un design classico e all’epoca vagamente sfrontato e avanguardistico, andando a competere per attitudine con le sneaker della gloriosa linea Nike Huarache, uscite ad inizio anni Novanta ma tornate ad essere popolari negli ultimi anni, anch’esse dotate di un taglio futuristicamente urban.

Quest’articolo nasce da una riflessione che mi è venuta in mente un po’ di tempo fa: più volte nell’estate 2019 mi capitò di incappare nella campagna pubblicitaria avvenuta sui social relativa a queste nuove Ozweego. Sto parlando di una serie di annunci sponsorizzati incontrati soprattutto su Facebook. Nei commenti ai post, mi sono trovato più che altro di fronte ad una serie copiosa di battute sarcastiche e velenose contro le calzature in questione, come davvero mai mi è successo di leggere a proposito di un prodotto di moda appena lanciato sul mercato.
Tutt’altra accoglienza fu rivolta a queste scarpe, pare, a livello internazionale.

Con il nome “Ozweego” sono poi state prodotte anche delle sneakers firmate dal celebre stilista Raf Simons, che iniziò la collaborazione con adidas nel 2013. In questo caso in realtà nulla o pochissimo c’entravano con quelle adidas della fine dello scorso secolo. Nessun riferimento così diretto alle silhouette di fine secolo, mentre veniva privilegiato un look massimalista, iper-stratificato e bulky come accaduto a molte linee di scarpe sportive legate allo streetstyle degli ultimi anni. Esemplificativo fu il titolo di un articolo uscito su GQ che identificava Simons come il “Godfather of Ugly Sneakers”.
Le Ozweego 2019 invece si ispirano con rispetto ma anche innovazione, con un tocco più aggressivamente street e meno tech, alle Ozweego 3 degli anni 90.

adidas Ozweego Raf Simons

Facendo un salto al recentissimo passato molti dei lettori ricorderanno il caso delle sneakers gialle e blu, uno sfacciato e grossolano rip-off delle Huarache Running, vendute dalla catena di supermercati Lidl. Le scarpe andarono a ruba e all’apparenza inspiegabilmente finirono nel giro del reselling a prezzi esorbitanti, grazie ad un hype grottesco che si è poi sgonfiato mano a mano nel corso delle settimane successive.

Lidl Running

Con questi esempi vogliamo far luce su una tendenza che si è imposta nelle scarpe sportive degli ultimi anni: praticamente tutti i produttori hanno deciso di immettere nel mercato alcune linee che potrebbero rifarsi a questo trend delle “ugly sneakers”, con linee che strizzano l’occhio al passato ma riprocessandolo con un tocco deformante, grottesco, ardito, iperfuturistico. Le suole diventano stratificate e imponenti, i layer si incrociano tra forme sinuose e aliene, gli aspetti “utilitari” si mescolano a imprevedibili capricci estetici, il pragmatismo del dad style incontra il glamour più irriverente.

In realtà le recenti Ozweego, rispetto ad altri prodotti più bulky e trasgressivi, risultano quantomeno elegantemente progettate e un po’ più regolari, pienamente in linea con le ultime tendenze in materia. La ricezione del pubblico italiano è un po’, in un certo senso, riflesso di un immaginario collettivo e di un clima culturale – nonostante un apparente recente incremento di interesse e di iniziative sull’argomento sneakers –  lontanissimo dalle evoluzioni estetiche e dalla narrativa del design e dello streetstyle che tanto hanno attecchito invece in certi ambienti esteri, più avvezzi alle novità nel campo.

Le suole diventano stratificate e imponenti, i layer si incrociano tra forme sinuose e aliene, gli aspetti “utilitari” si mescolano a imprevedibili capricci estetici, il pragmatismo del dad style incontra il glamour più irriverente.

Il riferimento alle sciagurate pseudo-Huarache della Lidl invece dovrebbe essere il riflesso di un’attenzione allo sneakergame da un punto di vista mainstream, che quindi dovrebbe (o avrebbe dovuto) portare con sé l’attenzione anche su calzature sportive “d’autore” veramente ardite e anche sulle innovazioni nel settore. Ma la cultura legata alle sneakers in Italia rimane ancora una nicchia, nonostante le boutique, le convention pre-covid e la discreta attenzione sui social. Proprio queste attività e iniziative in realtà allontanano gran parte del pubblico (ne parleremo in un altro articolo), comodamente legato al mercato locale “generalista” nel quale regnano i vari Foot Locker e AW Lab, vuoi per la connessione sempre più stretta tra streetstyle e la passerella (quindi costi altissimi), vuoi per la mancanza di icone, di connessioni con ambienti artistici e della frammentazione degli ambienti (sotto)culturali e della narrativa sullo stile urbano.
Ad ogni modo, ci arriveremo anche noi italiani, lentamente, come abbiamo sempre fatto.

Il caso delle scarpe di Lidl pone l’accento sia sugli aspetti più assurdi e surreali dell’hype, sia sull’adorazione di icone/meteore di uno stile brutto e kitsch.

Parlando un po’ in generale, a livello globale, lo stile “ugly” si è recentemente sempre più impadronito dello streetstyle, che a sua volta come sappiamo è stato assorbito dalle grandi case di moda, in una sorta di operazione che in realtà tra decine di virgolette potremmo definire “punk” e “camp”, nel suo cortocircuito di continua decontestualizzazione/ricontestualizzazione, un po’ ironizzante un po’ goffo, se non fosse che, più che altro, queste dinamiche della moda sono un po’ lo strascico di una narrazione estetica e di una dimensione socio-antropologica sempre più basate sulla performance estemporanea e lo svuotamento di contenuti anche superficiali, in nome della pura enunciazione, della trasmissione istantanea di un segnale, la cui ricezione non è più decodifica distorta ma è ricezione fine a se stessa, senza che la (ri)codifica, anche estemporanea, possa di fatto completare il proprio ciclo, senza l’ironia tipica della filosofia camp, anche se vorrebbe essere divertente e dissacrante. È uno scenario improntato, oltre che all’enunciazione (che sia urlata e maleducata il più possibile), sull’azione, la performance, l’invasività/onnipresenza, la compenetrazione quasi violenta tra contesti, senza reale memoria, la quale viene persa durante l’atto brutalista, fissando il vuoto sul ciglio del baratro del grottesco.

Citando e assemblando sparsamente da Wiki:

“Il corpo grottesco è un concetto, o tropo letterario, proposto dal Bachtin nel suo studio sul lavoro di Rabelais. Il principio essenziale del realismo grottesco è il degrado, l’abbassamento di tutto ciò che è astratto, spirituale, nobile e ideale al livello materiale. Attraverso l’uso del corpo grottesco nei suoi romanzi, Rabelais collegava i conflitti politici all’anatomia umana. In questo modo, Rabelais ha utilizzato il concetto come “una figura di scambio biologico e sociale indisciplinato.

È per mezzo di queste informazioni che Bachtin individua due importanti sottotesti: il primo è carnevale (carnevalesco) e il secondo è realismo grottesco (corpo grottesco). Così, in Rabelais Bachtin studia l’interazione tra il sociale e il letterario, nonché il significato del corpo.

Rabelais, interiorizzando il corpo, il grottesco nel suo romanzo, riformulò il conflitto politico nelle dinamiche di fisiologia umana.

Bachtin dimostra che, in tempo di Rabelais, il corpo del grottesco è stata una celebrazione di vita in tutto il suo ciclo di nascita e morte. Il corpo, il grottesco è, infatti, una figura comica, profondamente ambivalente: ha sia un significato di ‘pro-positivo’, connesso essenzialmente alla nascita e di rinnovamento, e un senso di ‘negazione’, che è collegato con il decadimento e la morte che lascia spazio per il nuovo nato.”

 Ed ecco che, come nel tropo letterario poc’anzi sviscerato, il corpo grottesco si impadronisce anche della moda del nuovo millennio. Non è più la sfrontatezza dei vari Westwood o Gaultier, o degli eccessi di Gianni Versace. È qualcosa che va oltre, “morendo” e negandosi una volta che il campo appare, nella sua performance svolta sulla pelle di questo tipo antropologico a metà tra anonimo passante e sgargiante influencer wannabe.
Mentre la moda non è certo nuova ad inserire soluzioni improbabili e design perigliosi durante le presentazioni  e sfilate che si sono sempre svolte in giro per il globo, avvengono due dinamiche che viaggiano su binari paralleli: una commistione tra streetstyle e haute couture come mai si era vista prima, che al contempo depotenzia e potenzia i due contesti; lo stravolgimento dei canoni estetici attraverso il grottesco e la bruttezza, esasperando gli aspetti più decadenti, per così dire, del normcore. Non è la ricontestualizzazione della strada sulle passerelle: è il reinserimento della parte meno nobile di ciò che è già “popolare” nel suo senso più degradato. È il saccheggio del mondo del design di moda nei recessi più dimenticati delle soffitte delle persone qualunque, per creare prodotti al contrario pregni di innovazione e sfrontatezza, distorcendo con arroganza e un senso allucinato dell’ironia quelle impolverate fonti di ispirazione. Questi trend non parlano solo di streetstyle quindi, ma di tutto il trash e kistch nello streetstyle, rifiutando tutte le sovrastrutture dell’estetica moderna e rivelando le strutture interne, denudate prima e poi brutalmente caotizzate, rendendo lo stile anonimo e desueto di nuovo eccitante e infine shockante, in uno scontro lisergico tra realismo e fantasia. Sembra quasi che un ghigno obliquo quindi voglia sostituire il divertimento, in questo rifiuto dell’ottimismo e dell’ordine, talvolta percepito come rigido, dato dal minimalismo futuristico. Una reazione alla pressione dei criteri della bellezza standard, attraverso l’elogio un po’ sghangherato, un po’ diabolicamente orchestrato, di una nuova bellezza, che diviene un nuovo semi-standard, che solo in parte è avanguardia, autenticità, design nobilitato, ma molto più spesso è un gioco che mostra facilmente la corda, dietro un’attitudine che nasce all’incrocio di due estremi: depotenziamento/degradazione e tensione al massimalismo.

Hoka One One Bondi 6

A riprova che a volte la “normalità” (e questa non è una dichiarazione contro i design innovativi), non quella normcore o artefatta, è in fondo più duratura di tante trasgressioni estetiche, anche se lo scopo della riabilitazione del cattivo gusto vorrebbe riflettere il bisogno ad una autenticità, alla possibilità di una autodeterminazione contro le spire appiattenti del significato comune di bellezza. Ne risulta però uno stile “sovrappensiero”, confusamente ironico, specchio della confusione culturale moderna. Ma un design che funziona è insieme qualcosa che racconta il proprio tempo e però contemporaneamente ne supera i limiti e non ne rimane succube, proiettandosi nel futuro attraverso la connessione piena e autentica col presente, in maniera sia distruttiva che creativa.

Li-Ning Titan Halo / Way of Wade 9

Tornando in maniera più specifica alle nostre sneakers, i designer hanno dato prova di grande passione per il grottesco e il brutalismo. Ma mentre ai tempi delle Nike Shox, delle Reebok Instapump Fury o delle Puma Disc l’enfasi era posta sulla quasi-esasperazione delle potenzialità tecnologiche della scarpa, negli anni recenti, accanto a questo aspetto, emerge un senso incombente di assurdità e parossismo estetico che vede la sua ragione d’essere nel provocare stupore e nell’offrire esempi di avanguardia nel design industriale ai limiti (e oltre) di un surreale, idealmente, di natura quasi extraterrestre: la sneaker come oggetto di design, ma anche come oggetto culturale e identitario, passa dall’essere futuristico all’essere pienamente distopico.

Reebok Instapump Fury

In un certo senso possiamo dire che la linea delle Yeezy disegnata da Kanye West e il suo team hanno un po’ generato questa nuova stirpe di “ugly shoes” ormai divenuta famose e incarna tanto follia distopica (vedi le Wave Runner 700) quanto avvincenti esotismi alieni (le 700 v3).

La sneaker come oggetto di design, ma anche come oggetto culturale e identitario, passa dall’essere futuristico all’essere pienamente distopico.

Balenciaga Triples S

Dalle orrorifiche bulky sneakers di Balenciaga a numeri di contorta acrobazia estetica come alcuni modelli della linea ISPA di Nike, agli esperimenti di Nike con Sacai e Off-White, alle sfide assolute al buon senso e il buon gusto di Li-Ning, pare non ci sia limite alle possibilità creative e funzionali legate al mondo delle nuove “ugly shoes”. E siamo solo all’inizio.

Nike x Sacai VaporWaffle / Nike Vista Grind / Nike Ispa Road Warrior / Nike Ispa Drifter Split

Tuttavia è bene notare che anche se queste estremizzazioni sono indubbiamente per palati (o piedi?) forti, oltre in certi casi ad essere anche delle vere e proprie provocazioni (spesso inadatte, come abbiamo detto, al mercato che ci riguarda), in alcune di questi design si nascondono i semi del design “buono” che arriverà in futuro.