La sfida eco-sostenibile del Recycled Design
Pur amando le scarpe sportive, non possiamo ignorare tutte le problematiche legate alla produzione delle stesse. Tra qualche articolo affronteremo più approfonditamente questa tematica spinosa, ma adesso soffermiamoci su questo trend delle recycled sneakers.
Greenwashing o nuova alba delle coscienze per una forma di capitalismo – per quanto possa sembrare un controsenso – più attento alle tematiche sociali e dell’ambiente?
Bisogna dire che sicuramente le aziende si sono accorte, diremmo un po’ tardi, che per sopravvivere devono adottare delle misure che vadano in un certo qual modo verso un’idea di sostenibilità necessaria per contrastare sia le critiche dell’opinione pubblica sempre più attenta alle problematiche dello sfruttamento del lavoro e del cambiamento climatico, sia gli effetti di una produzione capitalistica che ha finito per consumare questo nostro prezioso pianeta.
Uno degli esempi più virtuosi (quantomeno all’apparenza) di iniziative responsabili è stato quello di adidas, che nel 2015 ha iniziato una campagna di sensibilizzazione, con l’intento di informare i consumatori sulla piaga delle microplastiche che inquinano i mari. L’iniziativa è legata e ha ispirato la di scarpe da running Parley, che è anche il nome dell’associazione ambientalista che dal 2012 si batte per risolvere queste problematiche.
Adidas ha anche confermato di aver immesso sul mercato 15 milioni di scarpe prodotte con scarpa riciclata durante l’annata del 2020. Ma il colosso tedesco non si è fermato qui. Recentemente infatti abbiamo avuto due interessanti notizie riguardanti l’argomento ecosostenibilità: innanzitutto entro l’anno pare debbano uscire le Stan Smith Mylo, ottenute in collaborazione con la società Bolt Threads, che opera nel campo delle biotecnologie. Al posto della classica pelle, è stata quindi utilizzata una pelle vegetale, ottenuta sfruttando addirittura i funghi. La tecnica produttiva è la seguente:
“le condizioni naturali di crescita del micelio (la parte del fungo che si struttura nella parte adesa al terreno e al suo interno, nda) vengono ricreate in laboratorio; la segatura e altra materia organica vengono mescolate con la parte vegetativa del fungo per aumentare la crescita in una rete interconnessa simile a una schiuma morbida. I reticoli ben formati vengono raccolti, mentre i sottoprodotti rimanenti vengono compostati. Le ultime due fasi del processo sostenibile trasformano il materiale flessibile in pannelli che sembrano, al tatto vengono percepiti e si comportano come la pelle e assemblati insieme compongono la tomaia delle scarpe.” (Sneakernews).
adidas Stan Smith Mylo
Dai funghi poi si passa alle alghe: Stiamo parlando delle folli Yeezy Foam Runner create dal team capitanato da Kanye West e Steven Smith. Secondo quanto riportato da alcune indiscrezioni, questa sorta di Crocs futuristiche “da corsa” semi-biodegradabili sono il risultato di una combinazione di etilene-vinil acetato e schiuma prodotta con alghe, raccolte in siti dove avviene la coltivazione idroponica.
Yeezy Foam Runner
Sempre parlando di adidas, possiamo citare anche l’elegantissima linea, sempre prettamente vegana, denominata Clean Classics, che, come suggerisce il nome, “rilegge” alcune icone della compagnia delle tre strisce secondo uno stile tra minimalismo sportivo vintage e recycled chic. Secondo le schede di queste sneakers: “Better Rubber (indicando ovviamente la gomma delle suole, nda) è una mescola innovativa e sostenibile, realizzata al 90% in gomma naturale e al 10% in gomma riciclata. La gomma naturale è una risorsa rinnovabile, estratta dall’albero della gomma.”
Sempre rimanendo in casa adidas, sul versante del design più futuristico, segnaliamo un progetto “esplorativo” che corrisponde al nome di MUTANT ZX Gene Editing Concept, figlia del modello ZX 2K Boost, a sua volta evoluzione delle storiche ZX 710 del 1987. Limitate a 40 paia di esemplari, le scarpe sono state prodotte in collaborazione con lo studio di progettazione italiano RAL7000. Come spiega Outpump “come prima cosa l’iconica shape delle ZX 2K è stata interamente trasformata andando a realizzare un corpo unico che, partendo dall’outsole, si espande fino alla tomaia. Lo step successivo, è stato quello di inserire all’interno dello shell una sorta di calzino che va ad avvolgere il piede una volta indossata la sneaker.”
Ma a parte la foggia avveniristica, è bene ricordare con cosa sono fatte le calzature. Il materiale che le compone è conosciuto come XL Extralight Sustainable +, più leggero di ogni altro materiale con le stesse proprietà fisiche e meccaniche, ed è ovviamente ottenuto da scarti di produzione.
adidas MUTANT ZX
Bisogna dire che sicuramente le aziende si sono accorte, diremmo un po’ tardi, che per sopravvivere devono adottare delle misure che vadano in un certo qual modo verso un’idea di sostenibilità necessaria per contrastare sia le critiche dell’opinione pubblica sempre più attenta alle problematiche dello sfruttamento del lavoro e del cambiamento climatico, sia gli effetti di una produzione capitalistica che ha finito per consumare questo nostro prezioso pianeta.
Anche Reebok (che comunque ricordiamo è stata acquisita nel 2006 da adidas) si è impegnata nel riutilizzo di plastica, con la linea Reebok x Thread (assieme all’organizzazione Thread International) uscita nel 2018, mentre recentemente ha lanciato una serie di scarpe (e altri prodotti) denominata ReeCycled, costituita da nuove (davvero interessante il design retrofuturistico delle Reebok Classic Leather Legacy) e vecchie icone della casa fondata nel Regno Unito.
Reebok Classic Leather Legacy
Altra iniziativa lodevole è quella di New Balance, che con la linea MADE Responsibly ha creato questa linea di 998 remixate, assemblate con una grossa percentuale di materiali rimasti in eccedenza.
New Balance 998 MADE Responsibly
Linea meno popolare rispetto a quelle presentate in quest’articolo, è poi stata quella che costituita dal Edo Era Tribute Pack di Asics. Secoli fa era uso comune tra gli abitanti dell’antica Tokyo (che appunto all’epoca veniva chiamata Edo) riutilizzare e riciclare oggetti. Lo stesso quindi ha fatto Asics con questa collezione del 2020, prodotta attraverso il riutilizzo di plastica, senza dimenticare le scatole di cartone riciclato.
Quest’anno Asics ci ha poi riprovato con un’altra linea tecnica che corrisponde al nome di Sunrise Reborn Pack, puntando sulla leggerezza e l’efficacia nella performance.
Anche Puma, con la collezione Puma x First Mile, aveva lanciato lo scorso anno una linea, anche di abbigliamento, incentrata sul riciclo di plastica tratta da bottiglie. Come riporta il comunicato della casa tedesca “First Mile è una rete incentrata sulle persone che rafforza le microeconomie a Taiwan, Haiti e Honduras, raccogliendo bottiglie di plastica per creare posti di lavoro sostenibili e ridurre i rifiuti ambientali. La collezione utilizza filati sostenibili realizzati con plastica riciclata per avere un impatto positivo sulle comunità all’interno della rete del primo miglio.”
Ma la compagnia che ha creato una vera e propria estetica dell’eco-sostenibilità è stata sicuramente la Nike, anche nel solco dell’hype relativo al design riduzionista e decostruttivista che abbiamo già affrontato qualche articolo fa. In linea con i casi delle altre case citate, Nike ha lanciato la serie Recycled Canvas, costituita da versioni riciclate almeno al 20% di icone assolute come le Air Force 1 ‘07, le Air Max 90, le Air Max 95, le Daybreak-Type e infine le Cortez.
Ma facciamo un passo indietro. Il viaggio nella sostenibilità di Nike comincia sin dal 1990, con decine di milioni di scarpe usate raccolte e riconvertite – circa 1,5 milioni ogni anno – per creare il cosiddetto Nike Grind, una mistura riciclata adatta non solo a ricreare sportswear ma anche addirittura componenti architettonici e di arredo per i punti vendita, piste da corsa o cambi da basket outdoor.
Un progetto importante in questo campo, nato sotto l’egida della famosa linea AGC (All Conditioned Gear), è stato quello sviluppatosi sotto la sigla Nike Considered: intorno alla metà degli anni 2000, l’urgenza eco-friendly e la voglia di sperimentare con nuove procedure produttive e creare nuove estetiche avevano spinto il dipartimento di innovazione della casa dell’Oregon a ripensare l’universo delle sneakers per le attività outdoor. L’impegno del collettivo (tra le cui fila aveva un ruolo di spicco il designer Jeff Staple) nato attorno al concetto di Considered era quello di non far usare materiali non riciclabili (utilizzando la cosiddetta closed loop technology) ed evitarne di tossici. La filosofia di Considered è stata poi convogliata nella creazione delle Air Jordan XX3, alla cui ideazione partecipò anche il designer storico delle Jordan Tinker Hatfield, con l’obiettivo di tagliare il più possibile gli sprechi di materiale di disavanzo durante la produzione e quindi ridurre l’impatto ambientale della scarpa, al contempo assemblando un prodotto dalle alte prestazioni tecniche e durevole.
Air Jordan XX3
Stesso discorso vale per le meno conosciute Nike Zoom BB II Low ‘Trash Talk’, uscite nello stesso anno e indossate all’epoca da star del basket come Steve Nash.
Nel 2012 poi Nike introduce il cosiddetto Flyknit, un materiale composto da fibre di poliestere riciclato, ultraleggero, caratterizzato da grande traspirabilità e resistenza, adattabile, elastico, dall’alto profilo tecnico (relativo alla performance) e dal bassissimo, a quanto pare, impatto ambientale, grazie anche al minore impiego di colla per tenere insieme le parti della scarpa, riducendo lo spreco di materiali almeno del 60% rispetto agli standard classici. La tomaia dei prodotti in Flyknit è infatti per lo più costituita da un unico pezzo, fatto di filamenti tessuti insieme attraverso un processo di micro-ingegneria.
Il Flyknit è d’altronde figlio del Flywire (ideato da Jay Meschter), tecnologia basata sul principio di utilizzare elementi “tiranti” a supporto dei maggiori punti critici del piede, organizzati in reticoli di fibre leggere e resistenti. Dalla filosofia Flywire/Fliknit poi nasce anche il Flyleather, materiale che restituisce la sensazione del cuoio, composto da scarti riciclati di fibre di pelle (per almeno il 50%), mischiate a materiali sintetici e ottenuta attraverso un processo produttivo a quanto pare basato su alimentazione ad acqua.
Dettaglio delle Nike Crater Impact
Sotto l’egida dello Swoosh In seguito sono nate molte sneakers con parti costituite da parti riciclati, anche insospettabili e abbastanza popolari: le Air Max 720 hanno la loro gigantesca camera d’aria composta da almeno il 75% di materiale riprocessato. Le Nike Vapormax 2020 hanno una presenza di materiale riciclato nella composizione che va dal 60% a praticamente il 100%, a seconda delle parti prese in considerazione. Ad un livello estetico e narrativo, anche queste scarpe rientrano in quel tipo di prodotti destrutturati di cui abbiamo parlato tempo fa, seguendo il concetto di Rawthenticity, una sorta di modello di bellezza di design imperfettamente raffinato, concetto che poi è evidentemente andato a convergere nelle linee 354 (di cui abbiamo già parlato nell’articolo sul design riduzionista), Space Hippie e Crater: queste ultime due costituiscono forse il punto più alto della ricerca di “design circolare” di cui vi abbiamo parlato sin’ora: il processo produttivo è del tutto esposto, con suole e intersuole imperfette e dall’aspetto grezzo e incompiuto, strutture di allacciamento dal design destrutturato, una visione stilistica delle sneakers avventurosamente avanguardistica senza convergere nei paradossi dell’hype delle ugly shoes ma (ri)fondando un razionalismo dal cuore pulsante, tanto freddo e industriale quanto – quantomeno all’apparenza – passionalmente inserito in una vivace immaginario cosmopolita, metropolitano e quasi oltre-umano, ibrido e superfuturistico.
Nike Space Hippie Collection
Secondo il comunicato della Nike, “Space Hippie è una collezione sperimentale di scarpe ispirata alla vita su Marte, dove le materie prime scarseggiano e dove non è prevista alcuna missione di rifornimento. Creata con scarti, o ‘spazzatura spaziale’, Space Hippie è il risultato dell’incontro tra pratiche sostenibili e design radicale”.
Componenti delle Nike Cosmic Unity
Questo per il lifestyle, mentre per il versante performance il culmine della ricerca di Nike in questo campo è stato raggiunto con la produzione delle Cosmic Unity, composte almeno per un quarto da prodotti di recupero. L’intero processo ideativo di questa calzatura atletica è stato pensato a monte, a dire di Nike, con l’intento di limitare il più possibile l’impatto negativo sull’ambiente, dallo sketchare le bozze digitalmente invece che su carta alla limitata produzione di prototipi.
(…) il processo produttivo è del tutto esposto, con suole e intersuole imperfette e dall’aspetto grezzo e incompiuto, strutture di allacciamento dal design destrutturato, una visione stilistica delle sneakers avventurosamente avanguardistica senza convergere nei paradossi dell’hype delle ugly shoes ma (ri)fondando un razionalismo dal cuore pulsante, da una parte freddo e industriale ma anche – quantomeno all’apparenza – passionalmente inserito in una vivace immaginario cosmopolita, metropolitano e quasi oltre-umano, ibrido e superfuturistico.
Nei tempi più o meno recenti abbiamo poi visto tanti altri modelli seguire questa scia, dalle Zoom-Type, dalle Air Max Genome alle Pre-Day e varie altre sneakers della Nike, prodotte secondo questa modalità e filosofia, augurandoci che l’idea della casa americana del Move To Zero (il percorso verso l’annullamento di emissioni di carbonio) prenda sempre più piede nei processi produttivi.