A Sneaker World: corsi, ricorsi e nuovi orizzonti
Alla fine dello scorso anno il web magazine di moda, cultura e lifestyle Complex pubblicava un articolo dal titolo “What the hell happened to adidas in 2018?” nel quale analizzava il (relativo) presunto declino del marchio delle tre strisce avvenuto alla fine della seconda metà degli anni 10. Secondo l’analisi, Inizialmente la casa tedesca aveva definitivamente trovato una forte connessione con l’immaginario sporty-casual di una enorme fetta di consumatori a livello ovviamente internazionale – ponendo un’ombra minacciosa su Nike e Jordan brand – grazie, ad esempio, aallo strapotere delle classiche Stan Smith e Superstar e all’imporsi della nuova icona NMD, salvo poi perdersi in una serie di release dispersive e fuori fuoco, sia dal punto di vista del design che per le scelte promozionali. Una opinione condivisa anche da Rob Martell in un paragrafo di The Ultimate Sneaker Book, il mega-volume edito che raccoglie articoli e retrospettive tratti dal celebre Sneaker Freaker Magazine. Ma il successo economico e l’hype non sono il metro di giudizio che utilizziamo qui a THEKICKSAGE.
adidas NMD R1 (2015)
La questione è molto più complessa e i dati di vendita di un dato momento vanno analizzati all’interno di un quadro molto più ampio. Nike e adidas mostrano valori e visioni diverse, eppure convergenti in alcuni punti, momenti e dettagli. Il mondo delle sneakers non potrebbe essere lo stesso senza entrambi i colossi. In una certa maniera, l’uno non può fare a meno dell’altro. Sono due prospettive di uno stesso mondo, che in realtà condividono con molti altri marchi rispetto a loro “minori”, anche se nobilissimi.
Osservando siti che quotidianamente ci offrono il bollettino delle uscite come SneakerNews o Nice Kicks, il marchio del baffo sembra essere il re assoluto. Infinite versioni delle Air Max 720, delle Vapormax o Air Max 1 (le migliori Air Max per chi scrive), per non parlare del Jordan Brand (sempre più a sé nell’immaginario collettivo ma comunque di appartenenza della casa di Beaverton). Qualsiasi altra marca, adidas inclusa, sfoggia molti meno modelli e variazioni da presentare settimanalmente, a quanto pare. Ma quella che sembra una carenza di idee di adidas ci appare invece come semplicemente una strategia di marketing più ponderata. La stragrande maggioranza delle variazioni presentate dalla Nike sono davvero obsolete, con colori fluo improbabili, accostamenti difficilmente sfruttabili in un contesto casual quotidiano. Semplicemente, Nike ha un atteggiamento di mercato aggressivo e sfrontato, forte di un endorsement del pubblico che conosce pochi cedimenti, trascinata dalla saga del concetto Air Max e dalle leggendarie scarpe col Jumpman. La gran parte dei modelli di Air Max (in gran parte concepiti durante gli anni 90) oggi ci appaiono come oggetti rappresentanti la feroce attitudine di un momento del design di calzature ancora non pienamente calato nell’attuale post-postmodernità. Allo stesso modo, adidas ha smesso da eoni di produrre modelli che oggi apparirebbero altrettanto goffi come Ultraride e Megabounce. La Nike, appunto, invece ha ben pensato di rimettere sul mercato le Air Max Tailwind IV e addirittura le Nike Shox R4, uno dei più contorti e immettibili modelli di scarpe mai concepiti. Queste scelte attestano l’esuberanza e sfrontatezza quasi sterotipicamente americana della casa dello Swoosh, mentre dall’altra parte adidas mostra la sua attitudine più “anticheggiante” e posata, unendo continuamente nobili suggestioni vintage ad un modernismo elegantemente algido, che in realtà mostra il tentativo continuo di riconnettersi con quella cultura street, underground dal punto di vista del mainstream puro.
Nike e adidas mostrano valori e visioni diverse, eppure convergenti in alcuni punti, momenti e dettagli. Il mondo delle sneakers non potrebbe essere lo stesso senza entrambi i colossi. In una certa maniera, l’uno non può fare a meno dell’altro. Sono due prospettive di uno stesso mondo, che in realtà condividono con molti altri marchi rispetto a loro “minori”, anche se nobilissimi.
Suola della Nike Epic React
Vero è che con la tecnologia e l’estetica React, Nike è riuscita dove nessuno è riuscito: creare l’immaginario della scarpa decostruita (con le Element 87, 55 e la linea ISPA), proporre una tecnologia di ammortizzazione nuovissima, comodissima e dal look stellare (suola e intersuola React sono tra i traguardi più mirabili del design per calzature contemporaneo), creare un hype mai visto negli ultimi tempi. Adidas non è così innovativa, apparentemente. Tuttavia elementi vari come suole marmorizzate, strutture di supporto del tallone che sono un mix bislacco di minimalismo ed estrosa modernità futuribile, sottolineatura nella tomaia anteriore della struttura anatomica dell’avampiede (qualcosa che si può trovare ad esempio anche nelle signature shoes Under Armour del celebre cestista Steph Curry), per non parlare del fascino esotico delle linee (o meglio, sotto-brand) Yeezy o Y3, che mostrano un’attitudine in realtà, a loro modo, altrettanto proiettata in avanti, magari più rivolta ad una visione estetica e tech quasi più orientaleggiante o “etnica”, miscela di glacialità e funzionalità mitteleuropea, leggerezza orientale e robustezza black.
Dettaglio della Under Armour Curry 6
Ad ogni modo, aziende planetarie di questo calibro si contano sulle dita di una mano, e, crediamo, il mercato vedrà nuovi capovolgimenti di fronte e tumultuosi smottamenti, anche se, bisogna dirlo, sembra di essere all’interno di un’era in cui le battaglie di mercato si svolgono in una maniera più orizzontale e meno improvvisa, come una sorta di conflitto di trincea nel quale prevale un atteggiamento di osservazione a distanza e strategia ancora più complessa e studiata.
Dettaglio delle adidas Prophere “Cookies n cream”
Mentre avviene ciò, third players dalle mosse interessanti come Puma realizzano modelli sorprendemente accattivanti, capaci di agganciarsi al passato e d’altra parte proiettati pienamente in uno zeitgest esaltante.
Sebbene molti abbiano previsto lo scoppio della bolla delle calzature sportive e la fine dell’hype che da anni le circonda, ci pare che questo non accadrà presto.
Quello che i giornalisti e gli esperti di moda non colgono, è quel legame nato tra le sneakers e i kids e gli appassionati nato dal di fuori dei canali ufficiali e altolocati della moda. Un “segreto”, una sorta di patto che influencer e analisti difficilmente comprenderanno perché in fondo esterni a un mondo che è insieme underground e supercommerciale, sorta di mega-nicchia globale strettamente correlata al lifestyle “classico” prima della nozione/condizione un po’ più superficiale (ma onnipresente) di status ultra-contemporaneo.
Parleremo ancora di questa presunta bolla.
Puma Hybrid Rocket (2018)
In questa epoca in cui il design delle sneakers sembra al contempo immobile e futuristico, ci sembra di poter rilevare quello che sembro un momento di dondolante ma avvincente equilibrio. Dopo i terribili anni Zero, le scarpe da basket sono riuscite a raggiungere il perfetto connubio tra ordinarietà casual e performance. Le scarpe da running, training o più puramente casual hanno anch’esse raggiunto la piena maturità. Ogni tipo di nicchia di appassionati così come il compratore più distratto sono stati soddisfatti: l’impressione è quello di una macchina superorganizzata come mai prima d’ora, mai doma, sempre immersa in una continua analisi sulle tendenze del mercato, sui mutamenti del design e su sulle innovazioni tecnologiche. Inevitabilmente i marchi si influenzano, rivelando suggestioni del passato inconsce ed altre colposamente consapevoli.
Nike Air Tuned Max (1999) / adidas Yeezy Boost 700 V2 “Geode” (2019)
Linee chunky ipertrofiche con scelte di design vicine al non-sense, cuciture al vivo di scarpe volutamente non-finite, suole agili e pulite ed altre iper-strutturate, tomaie super-tecnologiche che avvolgono il piede come una seconda pelle: il mondo delle sneaker oggi è un maelstrom in cui originalità e scopiazzatura sembrano due lati della stessa medaglia, un mondo per il quale ci si può esaltare e che può lasciare scontenti e sconcertati al contempo. Insistiamo: è un mondo prevedibile e insieme imprevedibilissimo, risaputo eppure sempre nuovo e in rinnovamento, classico e ancora dai futuri confini inimmaginabili, noioso per mesi, poi di colpo scosso da una nuova trovata in realtà magari annunciata da tempo attraverso un hype martellante.
Fila Venom (2018) / adidas Yeezy Boost 700 “Analog” (2019)
Ma oltre le marche, i modelli e le tendenze, la differenza la fanno sempre, ovviamente, i compratori. Il compito di THEKICKSAGE è quello di decostruire questo mondo, analizzare le follie costose dei video di sneaker-shopping della rubrica di youtube targata Complex e così l’essenza reale della sneaker: la strada. Nell’immaginario collettivo, la scarpa sportiva è sempre più l’edizione limitata, la versione delle Jordan 1 di Virgil Abloh, la Yeezy introvabile.
Ma è questo il vero mondo delle sneakers? Oltre le passerelle, oltre i festival di streetwear, oltre le collaborazioni, ci sentiamo di dire che la risposta è NO (o meglio, non per forza, non solo).
Ci fidiamo della storia, e la storia insegna che il valore della sneaker si attua nel rapporto tra il piede (il compratore, l’individuo, il flaneur postmoderno) e l’asfalto concettuale della città.
Comprate una Air Jordan 1 regolare, che costerà molto meno di una versione Off-White e vi assicuriamo che non sarà da meno come fascino e stile, oppure prendete una Reebok Classic. Vivetela con un’attitudine rilassata, siate voi stessi. That’s it. Il resto è solo moda e hype. Davvero, in realtà non c’è altro. Avete già tutto quello che vi serve, a portata di mano.
Ma soprattutto seguiteci ancora, ne vedremo delle belle.